L' INCONSCIO SUL LETTINO


Cosi' Freud ha inventato il Thriller dell'Anima

Ecco i "Racconti analitici" del padre dell'inconscio che fondarono una nuova disciplina e un nuovo genere.

Scritti con stile elegante, parlavano non di mostri ma di gente perbene che si poteva anche incontrare nei salotti.

Li leggevano uomini e donne in cerca di spiegazione al loro male di vivere e alle loro angosce.




Nel 1936 uno dei candidati al premio Nobel per la Letteratura, proposto da Romain Rolland,  era un anziano psicoanalista viennese: Sigmund Freud.
Era stato candidato dozzine di volte al Nobel per la Medicina, che con suo grande dispiacere gli fu sempre negato, perché il suo lavoro "non era basato su prove scientifiche".
In suo sostegno erano stati sottoscritti pubblici appelli: tra i firmatari figurano i principali scrittori dell'epoca, da Alfred Döblin a Jakob Wassermann, da Knut Hamsun e Lytton Strachey fino
a Thomas Mann.
Questi, maliziosamente, firmò purché la candidatura di Freud fosse al Nobel per la Medicina.
Con ciò, riconosceva che lo psicoanalista poteva rappresentare un rivale temibile.
Il premio per la Letteratura del 1936 fu assegnato a Eugene O'Neill.
E Freud rimase senza Nobel: la sua opera era considerata troppo romanzesca per essere scientifica, e troppo scientifica per essere letteraria.
Ripensavo a questa vicenda leggendo la dotta introduzione di Mario Lavagetto ai Racconti analitici di Freud, appena pubblicati da Einaudi nella collezione dei Millenni.
Con la consueta acutezza Lavagetto - anch'egli, come Freud, uno scrittore anomalo- affronta la questione centrale dell'opera del fondatore della psicanalisi.
Che cosa sono davvero le Krankengeschichten di Freud? 
Qual è la loro natura? E come dobbiamo chiamarle? Storie cliniche? Casi clinici? Studi?
Lavagetto le intitola racconti.
I primi - i quattro casi femminili di isteria - apparvero nel 1895.


Freud scriveva per illustrare le sue nuove teorie.
I suoi casi avevano uno scopo "dimostrativo". Divennero subito tutt'altro.
Krafft-Ebing li stigmatizzò come "favole scientifiche". 
I lettori, in un certo senso, fecero lo stesso.
Le "favole" - inizialmente rivolte al pubblico dei medici della psiche - attirarono l'attenzione dei profani. Erano scritte con stile elegante, chiaro.
Parlavano non di mostri - come quelli di Krafft-Ebing e Lombroso - ma di gente perbene che tutti avrebbero potuto incontrare nei salotti.
Le leggevano uomini e donne in cerca di spiegazione al loro male di vivere.
Le reazioni degli uni e degli altri costrinsero Freud a interrogarsi di continuo sui suoi metodi e a difendere e motivare le sue scelte, tanto che nei testi inserì una quantità di riflessioni "metaletterarie".
Benché insistesse a sminuire le sue capacità artistiche e a prendere le distanze dalla  letteratura, questa si affaccia spesso nella teoria psicanalitica - offrendole chiavi interpretative, archetipi, immagini, personaggi - e Freud non era ignaro delle sue doti.
Lui stesso si assimilava al romanziere: nell'Introduzione alla storia di Dora del 1905, esprimeva il timore che sarebbe stata vista dai lettori "non come un contributo alla psicopatologia della nevrosi ma come un roman à clef destinato al loro divertimento".
Proprio come un romanziere riassumeva, censurava, montava e manipolava la sua materia.
Era consapevole che - non potendo riferire il contenuto delle sedute così come si erano effettivamente svolte nel suo studio nel corso di settimane, mesi, a volte anni - la narrazione del caso diventava un'interpretazione e una costruzione: un'opera.


Ciò che costituiva una debolezza scientifica è anche la ragione del suo fascino. 
La lettura della storia dell'Uomo dei Lupi, il giovane russo che a quattro anni sognò sette lupi bianchi che lo fissavano accoccolati su un albero, restituisce ancora il piacere di quella che fu una delle più avvincenti avventure intellettuali del Novecento.
I pazienti fobici, ossessivi, nevrotici di Freud, e il medico che ne raccoglie le angosce, le narra, le spiega e narrandole le guarisce, diventano i protagonisti di un'indagine sull'anima, l'infanzia, la sessualità, la vita - ciò che costituisce anche la materia della letteratura.
Freud si paragonava a chi tenta di risolvere un puzzle, a un archeologo che riporta alla luce la città di Pompei, disseppellendo quanto la lava ha nascosto.
In realtà usa una strategia narrativa simile a quella del coetaneo Conan Doyle:  si tratta di trovare un colpevole che ha agito nell'ombra.


Lo psicoanalista svolge la funzione dell'investigatore.
Il lettore viene preso nel meccanismo.
Vuole sapere cosa è successo e perché.
E Freud interroga, accumula indizi, esplora mondi sotterranei e inaccessibili (l'inconscio,  il sogno), guida se stesso, il paziente e il lettore attraverso un labirinto di segni e alfabeti di lingue ignote (le strutture della psiche e il suo funzionamento) e infine consegna a sé e a  noi la sua spiegazione.
La forza catartica di queste storie resta immutata anche dopo che la teoria di Freud è diventata nozione comune, dopo cent'anni di discussioni e aggiustamenti, dopo che i costumi sessuali e la
società sono profondamente mutati.
Quando Freud pubblicò i suoi racconti, doveva tranquillizzare il lettore, attenuare, smussare: il pubblico restava traumatizzato dalle rivelazioni sulla sessualità infantile, l'ambivalenza delle pulsioni, la libidine etc.
Oggi la "verità" di Freud suona come la spiegazione di un giallo, che ci interessa meno dei personaggi, del loro desiderio di conoscenza e del loro dolore.
E la commedia umana che Freud mette in scena fra il 1895 e il 1920 ,  ancora turba, appassiona e coinvolge.


                                                                                       da Repubblica  03 01 2012


DAL  MITO DI NARCISO  ALLA  REALTA' DEL NARCISISMO


“La personalità narcisistica, dal sano al patologico”





Tra i disturbi di personalità si annovera il disturbo narcisistico, configurazione personologica con tratti specifici, in cui è importante poter distinguere tra forme di narcisismo “sano” , espressione di una buona stima di sé ed invece forme patologiche, che rivelano forti carenze nella struttura dell’Io dell’individuo.

Vi è anche da tenere in considerazione il contesto ambientale e culturale in cui la personalità narcisistica vive nel mondo contemporaneo. La società occidentale dei nostri giorni risulta fortemente impregnata dell’esaltazione di modelli spesso di matrice narcisistica, in cui vi è un’idealizzazione dell’immagine di sé, del proprio corpo, dei propri “possedimenti” (non ultimi il poter esibire partner dall’aspetto vincente o seduttivo), privilegiando l’immagine più superficiale ed oscurando gli aspetti più interiori, profondi e meno visibili della natura umana.

Persino uno degli aspetti più caratteristici della personalità narcisistica, come lo sfruttamento dell’altro senza riconoscerne il valore o il bisogno, risulta spesso in certi contesti, soprattutto di matrice professionale, adattivo, funzionale o addirittura premiante.

In questo contesto culturale, possono dunque affermarsi con successo alcune strutture di personalità narcisistica patologica, la cui caratteristica principale è appunto quella di sentirsi “unici” e speciali, di avere fantasie di illimitato successo, potere, fascino, di sfruttare secondo i propri bisogni gli altri, di aspettarsi sempre atteggiamenti di favore nei propri confronti, senza provare empatia nei confronti del prossimo.

Spesso è difficile poter stabilire una linea di confine tra comportamenti che rientrano in un quadro di narcisismo sano e quelli invece di matrice patologica. Uno degli ambiti in cui è più marcata la distinzione tra le due realtà è quello del mondo degli affetti.


Un aspetto comune e fortemente avvilente nei soggetti patologici è, infatti, la loro incapacità di provare amore ed empatia verso gli altri, prendendo in considerazione e tollerando i bisogni dell’altro, accettando il conflitto interpersonale e l’ambivalenza insita nei rapporti amorosi di lunga durata.

Il narcisista manca di sensibilità, interesse e voglia di “ascoltare” il mondo interno dell’altro, che non viene percepito come persona con specifici e propri bisogni, diversi dai propri ed altrettanto degni di essere accolti.

E’ molto comune nella personalità narcisistica avere solo relazioni di breve durata, spesso con partner che siano in grado di esaltare e “coccolare” l’immagine del compagno. Queste relazioni tendono ad interrompersi nel momento in cui il partner rivendica bisogni propri e di coppia che il narcisista non è in grado di offrire nel rapporto, andando sempre a privilegiare il nutrimento delle proprie esigenze.

Frequentemente, soprattutto nel maschio narcisista, vi è la tendenza a collezionare successi amorosi di natura superficiale (la cosiddetta “sindrome da Don Giovanni”), interrompendo le relazioni nel momento in cui la propria “conquista”, che inizialmente era stata idealizzata per l’apporto che dava all’immagine di sé, perde quel fascino figurando agli occhi del narcisista come persona ormai senza valore ed “inutile”.

La vita dei soggetti narcisisti appare dunque spesso come vincente, indipendente e ricca di trionfi, ma nasconde un mondo arido di affetti, dove convivono stabilmente incostanza, insoddisfazione ed incapacità di sentirsi valorizzati.
 Nel trattamento di questi pazienti è fondamentale ristabilire un clima terapeutico di forte accoglienza ed empatia, che sia in grado di creare un terreno per poter elaborare le carenze di rispecchiamento e riconoscimento della relazione genitoriale primaria, che sono all’origine di questa struttura di personalità di forte fragilità.
(Dott.ssa Sibilla Segatto)


“Da bambini, i narcisisti hanno subito quella che la psicoanalisi definisce una grave ferita narcisistica, un colpo alla stima di sé che lascia il segno e modella la loro personalità. Questa ferita implica un’umiliazione, in particolare l’esperienza di essere impotenti mentre un’altra persona ha provato piacere nell’esercitare su di loro il proprio potere. Non credo che basti una singola esperienza a formare un carattere, ma quando il bambino è costantemente esposto a umiliazioni in una forma o in un’altra, la paura dell’umiliazione finisce per essere strutturata nel corpo e nella mente. E’ facile che questa bambino dica a se stesso: “Quando crescerò diventerò potente e non potrete più farmi questo, né tu né nessun altro.”
 (Alexander Lowen, “Il narcisismo”)



Quel lato Oscuro di una Suora...forse il suo "Inconscio"



IN  PRINCIPIO  ERA  SOLO  UN  MITO  : NARCISO

Caravaggio: Narciso
Olio su tela (112 cm × 92 cm),
Galleria Nazionale d'Arte Antica - Palazzo Barberini,
Roma (Italia)

La storia che andiamo a narrare è la più conosciuta della mitologia greca e sono tante le sue versioni. Noi prendiamo spunto da quanto ci narra Ovidio nelle Metamorfosi per narrare le vicende di questo giovane la cui bellezza, pari a quella di un dio,  fu la causa della sua stessa rovina.

Il fanciullo di cui parliamo si chiama Narciso ed era figlio della ninfa Liriope e del fiume Cefiso.
La madre,  poichè voleva conoscere il destino del proprio figlio, si recò dal vate Tiresia per sapere il suo futuro.
Era questo il più grande fra tutti gli indovini che la sorte aveva reso cieco perchè aveva osato porre i suoi occhi sulle nudità della dea guerriera Atena che, dopo averlo punito per la sua audacia rendendolo cieco, gli fece dono del vaticinio.

Tiresia dopo aver ascoltato le richieste di Liriope le disse in tono
greve che suo figlio avrebbe avuto una lunga vita se non avesse mai conosciuto se stesso. Liriope, che non comprese la profezia dell'indovino, andò via e con il passare degli anni dimenticò quanto gli era stato profetizzato.

Gli anni passarono veloci e Narciso cresceva forte e di una bellezza tanto dolce e raffinata che tutte le persone che lo rimiravano, fossero  uomini o donne, si innamoravano di lui anche se Narciso rifuggiva ogni attenzione amorosa.
Si racconta della sua  insensibilità e vanità ,tanto che un giorno regalò una spada ad Aminio, un suo acceso spasimante, perchè si suicidasse, ed Aminio tanto era grande il suo amore per Narciso,  si trafisse il cuore sulla soglia della sua casa.
 

La sorte volle che la storia di Narciso si incrociasse con quella della ninfa Eco, incontro nefasto che fu la rovina di entrambi i giovani.
Eco , in seguito ad una punizione ,era destinata a ripetere per sempre solo le ultime parole dei discorsi che le si rivolgevano.   

Un giorno mentre Narciso era intento a vagare nei boschi e a tendere reti tra gli alberi per catturare i cervi. Lo vide la bella Eco che, non potendo rivolgergli la parola, si limitò a rimirare la sua bellezza, estasiata da tanta grazia. Per diverso tempo lo seguì da lontano senza farsi scorgere e Narciso, intento a rincorrere i cervi, nè si accorse di lei nè si accorse che  si era allontanato dai compagni ed aveva smarrito il sentiero.
Iniziò Narciso a chiamare a gran voce, chiedendo aiuto non sapendo dove andare.
A quel punto Eco decise di mostrarsi a Narciso, rispondendo al suo richiamo di aiuto ,e si presentò protendendo verso di lui le sue braccia ,offrendosi teneramente come un dono d'amore  e con il cuore traboccante di teneri pensieri.

Ma ancora una volta la reazione di Narciso fu spietata: alla vista di questa ninfa che si offriva a lui fuggi' inorridito tanto che la povera Eco avvilita e vergognata, scappò via dolente.
Si nascose nel folto del bosco e cominciò a vivere in solitudine con un solo pensiero nella mente: la sua passione per Narciso e questo pensiero era ogni giorno sempre più struggente che si dimenticò anche di vivere ed il suo corpo deperì rapidamente fino a scomparire e a lasciare di lei solo la voce. Da allora la sua presenza si manifesta solo sotto forma di voce, la voce di Eco, che continua a ripetere le ultime parole che gli sono state rivolte.

Gli dei vollero allora punire Narcisco per la sua freddezza ed insensibilità e mandarono Nemesi, dea della vendetta, che fece si che mentre si trovava presso una fonte e si chinava per bere un sorso d'acqua, nel vedere la sua immagine riflessa immediatamente il suo cuore iniziò a palpitare e a struggersi d'amore per quel volto così bello, tenero e sorridente.
Non consapevole che aveva di fronte se stesso, ammirava quell'immagine e mandava baci e tenere carezze ed immergeva le braccia nell'acqua per sfiorare quel soave volto ma l'immagine scompariva non appena la toccava.
Rimase a lungo Narciso presso la fonte cercando di afferrare quel riflesso senza accorgersi che i giorni scorrevano inesorabili, dimenticandosi di  mangiare e di bere, sostenuto solo dal pensiero che quel malefico sortilegio che faceva si che quell'immagine gli sfuggisse, sparisse per sempre.
Alla fine Narciso mori', presso la fonte che gli aveva regalato l'amore anelando un abbraccio dalla sua stessa immagine.

Quando le Naiadi e le Driadi andarono a prendere il suo corpo per collocarlo sulla pira funebre si narra che al suo posto fu trovato uno splendido fiore bianco che da lui prese il nome di Narciso.
E gli antichi narrano ancora che a Narciso non fu di lezione passare ad un'altra vita in quanto, mentre attraversava lo Stige, il fiume dei morti per entrare nell'Oltretomba, continuava a cercare il suo amato, riflesso nelle acque del nero fiume. 

In qualunque modo sia morto Narciso è certo che questo mito è arrivato sino a giorni nostri.
Pittori, musicisti, scrittori, psicologi, continuano a trarre ispirazione dalla storia di questo giovane. Era superbo? Era egocentrico? Era egoista? Era ingenuto?
Ognuno ne dia l'interpretazione che ritiene più consona anche se è certo che in fondo il giovane Narciso cercava solo una cosa: l'amore, come ogni creatura che popola questa terra.





DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVOLa sindrome ossessiva è caratterizzata da pensieri, impulsi, immagini ricorrenti  persistenti e invadenti e non desiderati che non hanno alcuna correlazione con l'oggetto reale dell'ossessione (ad esempio un padre o una madre che immaginano di uccidere il proprio figlio, oppure impulsi a desiderare atroci sofferenze per un amico, ecc.).
I tentativi messi in atto per evitare o neutralizzare l'ossessione, mediante sostituzione con altri pensieri o azioni, si rivelano del tutto inutili e conducono la persona alla sensazione di essere anormale; di non funzionare bene. D'altro canto il soggetto si rende conto che l'anormalità delle sue ideazioni provengono solo dalla sua mente senza alcuna imposizione esterna.

Spesso, ma non sempre ,la sindrome ossessiva è accompaganata da quella compulsiva.

La sindrome compulsiva riguarda azioni e comportamenti ripetitivi e/o rituali al fine di scaricare sugli oggetti (esorcizzare) paure che il soggetto non riesce ad arginare diversamente . Paure cosi' profonde e inconsce  che non hanno accessso alla parte
coscente della nostra mente.
Come nella sindrome ossessiva, anche in quella compulsiva le azioni ripetute, i comportamenti insoliti e i rituali non hanno diretta relazione con la paura e l'angoscia reale che si vuole evitare (ad esempio il ripetuto lavaggio delle mani potrebbe voler significare simbolicamente l'eliminazione di qualche cosa di "sporco" dalla propria mente ,oppure il portare i guanti bianchi potrebbe voler significare che il mondo contamina il soggetto, oppure ancora il controllo ripetuto e irrefrenabile di letture o di conti potrebbe voler significare la ricerca della perfezione, ecc.).
Gli adulti e coloro che non sono fissati sulla superiorità delle loro ideazioni si rendono perfettamente conto che le loro azioni e i loro comportamenti sono sproporzionati e non razionali.

La diagnosi di sindrome ossessivo-compulsiva è posta allorquando le azioni e i comportamenti che provocano grave ansia , interferiscono pervasivamente con la vita della persona in situazioni di relazione sociale, di lavoro o di quotidianità.

Ad esempio l'alzarsi più volte dal letto durante la notte per assicurarsi di aver chiuso il gas o le finestre, il camminare sulle mattonelle senza calpestare le righe di divisione delle stesse, il pulirsi le suole delle scarpe, mettiamo dieci volte sul tappetino di entrata, il contare qualsiasi serie di oggetti e decidersi per l'azione solo se sono pari o solo se sono dispari, ecc., sono tutti tentativi diretti ad esorcizzare paure e colmare l'ansia ma il sollievo è provvisorio ed allora ecco di nuovo la ripetizione. Quest'ultima diventa allora il tormentoso disturbo cerebrale che provoca angoscia e fa "dimenticare" ciò che causa la ripetizione stessa.

Se il disturbo ossessivo-compulsivo non viene curato si possono delineare quattro tipi di decorso:
- Decorso episodico: i sintomi sono presenti solo in alcuni periodi della vita di una persona, con nessun sintomo o sintomi minimi tra vari episodi acuti della durata di mesi o anni (tra i singoli episodi il tipo di ossessione spesso cambia). Ci può essere anche un solo episodio in tutta una vita.
- Decorso cronico fluttuante: i sintomi sono molto incostanti nel tempo, con miglioramenti e peggioramenti, ma non scompaiono mai del tutto. I frequenti alti e bassi sono in genere legati al livello di stress generale.
- Decorso cronico stabile: i sintomi si manifestano gradualmente ma, poi, rimangono stabili nel tempo.
- Decorso cronico ingravescente: è il più grave, e purtroppo il più comune. Generalmente i sintomi iniziano in modo graduale; ci sono periodi di peggioramento e periodi di stabilità, seguiti, poi, da nuovi peggioramenti.

Si puo' e si deve star meglio , basta rivolgersi a strutture competenti e specializzate.



Detto questo : "Tutti  sul lettino"  !!!










La Metafora del Cavallo e del Cavaliere



Teniamo in Mano le Redini della nostra Mente

In questa metafora l’uomo è rappresentato da un cavaliere che cavalca un cavallo.
L'uomo rappresenta le mente cosciente e la volonta' , il cavallo rappresenta le emozioni e le pulsioni.

L'uomo, in quanto cavaliere, deve essere in grado di gestire il cavallo e farlo procedere nella direzione corretta . Deve avere quindi la capacità di allineare i desideri coscienti, con la forza della mente inconscia.
Se il cavaliere è pigro o si distrae, il cavallo va dove vuole, puo' fermarsi a mangiare l’erbetta sul ciglio della strada, puo' rallentare, oppure puo' andare nella direzione sbagliata.

Ma l'uomo e' anche il cavallo e questo e' la vera forza trainante.
Il cavallo e' simbolo di eleganza e potenza , senza la quale il cavaliere resterebbe immobile.

Come qualcuno ci ha insegnato, la potenza è nulla senza il controllo:
una squadra di calcio non vince senza un buon allenatore, un’azienda non cresce senza un buon dirigente.
Una mente, lasciata in balia di se stessa, si adatta naturalmente all’ambiente in cui  è inserita ma non evolve, non persegue un obbiettivo, è solo trainata dalle circostanze.
Proprio come un cavallo lasciato senza cavaliere.

E' fondamentale quindi capire come funzionano le relazioni tra le nostre stesse parti e riconoscere che esse costituiscono un insieme indivisibile.

Noi non siamo nè il cavallo nè il cavaliere. Noi siamo il tutto.

Quando sentiamo  che non siamo noi a guidare il cavallo,allora siamo in balia delle forze inconscie.

Cerchiamo di riprendere in mano le redini della nostra vita.






La Metafora dell' Iceberg di Sigmund Freud



L’inconscio fu teorizzato per la prima volta da Cartesio, Locke e Leibniz. Sigmund Freud, padre della Psicoanalisi, fu il primo a capire il collegamento dell’inconscio con i disagi psicologici, emozionali e mentali.
Tramite la tecnica della Psicanalisi, Freud ha dato il via alla cura dei pazienti con l’analisi delle dinamiche inconsce, per scoprire i conflitti che sono alla base dei problemi psicologici.

Uno dei metodi utilizzati da Freud per affrontare tale analisi è l’interpretazione dei sogni. Questo argomento è stato anche trattato nel suo famoso libro che ha letteralmente cambiato il modo di concepire la mente umana ed il suo funzionamento.

Freud ha paragonato la mente ad un iceberg, nel quale la parte che emerge dall'acqua è la mente conscia, mentre la parte sommersa, che è molto più grande ed è nascosta, rappresenta l'inconscio.

Quello che normalmente vediamo dell'iceberg è solo la parte che emerge dall'acqua, quella su cui soffiano i venti, non siamo consapevoli che al di sotto di essa si trova una parte molto più grande, su cui spingono le correnti del mare.

Quali sono quindi le forze che influiscono maggiormente sullo spostamento dell'iceberg, cioè sui tuoi comportamenti?

Sono quelle che agiscono a livello inconscio.